David Ligare, Penelope, 1980 |
I classici, si sa,
sono sempre gli stessi; a cambiare continuamente è invece il nostro modo di
interpretarli, che non è mai -anche
quando non ne siamo consapevoli-
oggettivo, asettico, ma sempre
connesso, oltre che alla personale sensibilità di ciascuno, alla nostra
storicità, al contesto, alla realtà sociale in cui siamo immersi.
Capita allora che
certi personaggi della letteratura e del mito classico, letti con strumenti e sensibilità
contemporanee, possano rivelarsi non solo meno monolitici di quanto vorrebbe
una consolidata tradizione, ma prestarsi anche a un ribaltamento di prospettiva
utile a un approccio meno convenzionale, più efficace, all'Antico.
Prendiamo Penelope, la
saggia, devota, legittima moglie dell'eroe dell' Odissea: mentre Ulisse, nella
coppia, rappresenta il polo dinamico – viaggia, conosce, si concede molte
distrazioni sentimentali-, Penelope resta stabilmente ad Itaca e sebbene
assediata, per anni, da giovani e prestanti corteggiatori (per giunta anche ricchi
e nobili), persiste senza cedimenti nella sua casta fedeltà, in attesa del
ritorno del consorte. E siccome si pone
non solo in opposizione, ma anche in continuità col marito, è -come lui- prudente e avveduta: con l'inganno della tela
tiene a bada gli sgraditi Pretendenti,
evitando per sé nuove nozze e la conseguente perdita del regno di Itaca al figlio Telemaco.
Donna di inesauribile devozione, stabile custode della casa e dei beni: Penelope è nel nostro immaginario la moglie, il modello perfetto della virtù coniugale.
Donna di inesauribile devozione, stabile custode della casa e dei beni: Penelope è nel nostro immaginario la moglie, il modello perfetto della virtù coniugale.
Ma è davvero così? Nel testo omerico più di un segnale sembra suggerire
tutt'altro.
Nel libro XIX dell'Odissea,
ai vs. 535-567, Penelope si intrattiene a conversare con lo straniero che ha
trovato ospitalità presso la reggia; non l'ha riconosciuto ma è Ulisse, nei
panni di un mendicante. La regina è in vena di confidenze e, fra le altre cose,
gli racconta anche un sogno, chiedendogli di interpretarlo: nella casa le sue oche
beccavano il grano, rallegrandole il cuore ; ma un'aquila piombata dal cielo le
uccideva tutte; e mentre Penelope si disperava per la loro sorte, l'aquila,
appollaiata sulla grondaia, con voce umana le assicurava che quel sogno era
veritiero e presto si sarebbe avverato.
Penelope si sveglia e
vede, con sollievo, che le oche sono vive.
Il sogno delle oche, che è stato tanto studiato,
non presenta i caratteri di “oggettività“ dei sogni omerici; è piuttosto prodotto
della psiche (nell’accezione moderna del termine) di Penelope, e rappresenta la
proiezione di due desideri che fanno contrasto nel suo animo: il ritorno del
marito e un nuovo rapporto amoroso. Si tratta di un sogno eccezionale perché molto
vicino alla concezione onirica moderna e rende perfettamente il dibattersi di
Penelope fra la fedeltà al marito e il desiderio di nuove nozze; ma dice anche con
chiarezza quale dei due desideri, alla fine, prevalga.
Il messaggio del sogno
è chiaro: le oche alludono ai Pretendenti di cui l’aquila/Ulisse farà strage. Ma
Penelope, che pure nel colloquio con l'ospite si è detta tanto provata dall'assenza del marito,
nel sogno, più che rallegrarsi della presenza dell’aquila-Ulisse, si dispera
per la perdita delle oche-Pretendenti. Inoltre, sebbene la metafora onirica
trovi la sua spiegazione all'interno del sogno stesso, Penelope chiede comunque
allo straniero di darne un’interpretazione. E a Ulisse, che non può che confermarle
il carattere predittivo del sogno, obietta prontamente che i sogni sono spesso ingannevoli (Od. XIX,
560-567): le sue oche sono vive, dunque il sogno ha detto il falso, quindi
anche il ritorno di Ulisse è una menzogna.
Insomma, anche senza
scomodare Freud e le sue teorie, sembra evidente che Penelope gradisca la presenza dei pretendenti più di quanto creda,
e che dal sogno voglia trarre solo la rassicurazione che Ulisse non tornerà. Non è un
caso se il passo immediatamente successivo sarà la decisione di risposarsi e l’annuncio
della sfida con l'arco.
Quest’ultimo passo (Od.
XIX, 572-581) è particolarmente
interessante per più di un motivo:
-
rispetto
al suo mondo di riferimento, quello omerico, nel quale neppure gli uomini,
neppure gli eroi, sono capaci di un solo pensiero, di un solo impulso che non
sia ispirato dagli dei, Penelope, invece, si autodetermina, prende una decisione
e progetta senza il concorso di altri, né uomo né dio;
-
Penelope,
che finora ha vissuto in buona parte dipendendo dal destino d’Ulisse, ora
sceglie, in perfetta autonomia, il suo
destino: andare via con un altro uomo, in un’altra casa, verso un'altra vita. È
un momento forte, la cui bellezza ci sfugge perché, da lettori onniscienti,
sappiamo come andranno le cose.
Qui Penelope esiste “per sé “: la scopriamo, in uno slargo di
vita, in grado di condurre un suo gioco,
una sua strategia, un suo desiderio.
Nel tempo dell’attesa,
infatti, Penelope ha anche fatto attendere, si è fatta aspettare, si è fatta desiderare da altri, da quelli che, se
li guardassimo con i suoi occhi, forse non
continueremmo a chiamare con disprezzo pretendenti.
Nel colloquio fra
Antinoo, uno dei Pretendenti, e Telemaco
(Od. II, 89-92), Penelope è dipinta come una raffinata esperta nell'arte
del farsi corteggiare: tiene in sospeso i Pretendenti, li incoraggia, si nega,
manda messaggi diversi a ciascuno di loro. . . E se Antinoo non è del
tutto credibile perché troppo coinvolto,
non ci sono motivi per dubitare di Atena, che ad Ulisse riferisce le stesse
cose (XIII, 375-81); certo le sue sono
solo relazioni virtuali, di fatto si è mantenuta fedele, ma la situazione nella
reggia è quella e la dea, forse temendo che Ulisse possa finire come
Agamennone, lo mette in guardia.
Si potrebbe dire che
per tutto il tempo Penelope abbia giocato di seduzione; anche l’inganno della tela
più che un tranello per evitare una nuova -e profondamente avversata- unione,
può essere letto come stratagemma per
accendere, in un andirivieni di speranze e delusioni, l’ardente attrazione che suscita negli uomini
che le vivono accanto: Penelope, la donna,
ha trasformato il suo tempo dell’attesa in tempo del desiderio.
Più che impassibile e
passiva, Penelope è incerta, vorrebbe e non vorrebbe, non sa decidere se
restare la moglie d'Ulisse o sposare uno dei suoi corteggiatori: solo così si
spiega l’ostinato permanere dei Pretendenti sotto il suo stesso tetto. La regina poteva infatti comunicare
la sua ferma intenzione di non risposarsi e
continuare a vivere col figlio nel palazzo d'Ulisse, oppure -liberandosi
ugualmente dei Pretendenti- contrarre, senza indugi, nuove nozze (Od.
XIX,524-529).
Del resto, lo stesso
Ulisse non l’avrebbe trovato
sconveniente (Od. XVIII, 269-270), né il
padre Icaro, che anzi, fra i Pretendenti, aveva già individuato in
Eurimaco il futuro genero. Quanto a
Telemaco, dalle nozze materne aveva solo
da guadagnarci: quando se ne rende conto, è lui stesso a chiedere alla madre di
sposarsi nuovamente per liberare la sua reggia dai Pretendenti che da più di
tre anni ne divoravano i beni (Od. XIX, 530-534).
È chiaro, quindi, e viene
ribadito anche altrove nel poema, che se Penelope avesse preso nuovamente
marito questi non sarebbe mai diventato re di Itaca: il regno spettava al
figlio maschio, in ogni caso; a Penelope
toccava lasciare la reggia, e ogni ricchezza che ad essa apparteneva, per seguire lo sposo.
Dunque la storia che
Penelope rifiuti nuove nozze e accetti a malincuore la convivenza coi
Pretendenti per non privare il figlio del trono non regge. I Pretendenti sanno
che non avranno alcun regno, né vi ambiscono: vogliono lei, Penelope, la bella donna le cui rare apparizioni
nella sala gettano in uno stato di
palese turbamento (Od. I, 365-366; XVIII, 212-213).
Questi uomini parlano
il linguaggio del corpo e Penelope risponde sullo stesso registro: la scelta cadrà su colui che riuscirà a
tendere l’arco di Ulisse, dunque non la ricchezza, la nobiltà, le buone maniere
la orienteranno, ma la forza, la prestanza fisica, la potenza (Od. XXI, 73-77).
L’uomo che sceglierà non deve essere, nel corpo, nella virilità, inferiore ad
Ulisse.
È un altro sogno a confermarlo:
la notte seguente al sogno delle oche Penelope sogna di giacere con un uomo
simile in tutto a Ulisse com’era ai tempi della partenza per Troia; il piacere provato
è stato così grande da farle dubitare, al risveglio, che si trattasse solo di
un sogno (Od. XX, 88-90).
Dunque Penelope madre
asessuata vive solo nei pensieri del giovane e ingenuo Telemaco (e col tempo si
ricrederà); in realtà del clima di accesa passionalità che la circonda, Penelope
è pienamente partecipe, ma con sensibilità femminile, il che comporta la
nostalgia, il rimpianto del primo marito, le lacrime…
La moglie devota di un
grande uomo che vive nella sua ombra: questa lettura di Penelope, funzionale a una
cultura patriarcale, è superata. Per noi Penelope è un’innovatrice: pensa,
agisce in autonomia e nella scelta del suo uomo non intende obbedire a regole “sociali”,
senz’altra guida che il suo desiderio. Il proposito del padre di maritarla al
pretendente che ha offerto i doni più ricchi non viene preso in alcuna
considerazione; vuole altro e sa come
ottenerlo. Tutto questo è sorprendentemente attuale, anche per l’idea personale di felicità che porta con sé.
Se penso a quale altra
donna del mito poter accostare Penelope mi viene in mente Medea, apparentemente
agli antipodi eppure per certi versi non dissimile a lei. Entrambe nel loro
percorso sono combattute, inquiete; rivendicano un desiderio attivo, dimostrano
di saper scegliere liberamente: Medea, nella sua unione con Giasone, ha seguito
eros, travolgente e irriguardoso, non
l’approvazione sociale; il loro matrimonio non è stato
un contratto fra due famiglie, anzi con la sua famiglia Medea è entrata
in distruttivo conflitto.
Ma mentre Medea si interroga sui criteri da cui lasciarsi guidare nella scelta di un marito "da comprare", Penelope, più istintivamente e al tempo stesso costruttivamente, li ha individuati. E portano a Ulisse.
Ma mentre Medea si interroga sui criteri da cui lasciarsi guidare nella scelta di un marito "da comprare", Penelope, più istintivamente e al tempo stesso costruttivamente, li ha individuati. E portano a Ulisse.
(Bibliografia:
Giulia Sissa, Eros tiranno (parte prima, Il desiderio), Laterza
Eric R. Dodds, I Greci e l'Irrazionale, La Nuova Italia
Emilio D'Agostino, Ho visto un sogno: io assente ed es-terno in Omero, in Quaderns d'Italià)
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