Quando ne ho abbastanza di grammatiche latine e greche e di una strana creatura chiamata geostoria, scivolo fra le pagine dei lirici e dei tragici greci; riprendo i miei libri, quelli che negli anni ho amato e usato di più, indugio come un esule che sulla riva del mare vagheggia i contorni della patria perduta; a contatto con pagine dai margini usurati provo la bella sensazione della consuetudine che appaga.
E ai margini delle pagine o tra le righe, vedo delle annotazioni, linguistiche per lo più, ma
non solo; e ancora: parole cerchiate e collegate da tratti, interrotti o continui – per unioni irreversibili o solo suggerite, per affinità o opposizione-, frecce che entrano e escono allegramente fra i versi, asterischi come margherite, qualche punto esclamativo: thaumazein sopra a ogni cosa!
non solo; e ancora: parole cerchiate e collegate da tratti, interrotti o continui – per unioni irreversibili o solo suggerite, per affinità o opposizione-, frecce che entrano e escono allegramente fra i versi, asterischi come margherite, qualche punto esclamativo: thaumazein sopra a ogni cosa!
Un disegno caotico e una mappa.
Il tratto, di matita o penna (sì, anche quella … urgente e irrispettosa), ha sfumature e colori diversi, diversamente sbiaditi; sembra suggerire una sedimentazione nel tempo: aggiunte, chiarimenti, ampliamenti, collegamenti, ripensamenti.
S-piegare il testo, togliergli le pieghe, interrogarlo, frugarne le ombre in cerca di risposte, sempre diverse, come le domande: i testi antichi cambiavano con me. Non mutava l’intenzione: coglierli interi per trasmetterli.
Tutto questo non mi interessa più, scopro che appartiene a un altro tempo.
Mi sono accorta che ora, quei versi, alcuni più di altri, risuonano dentro di me, si espandono in me ed io in loro. Anche un frammento è intero e perfetto: chi sono io per aggiungere altro?
Mi sono accorta che ora, quei versi, alcuni più di altri, risuonano dentro di me, si espandono in me ed io in loro. Anche un frammento è intero e perfetto: chi sono io per aggiungere altro?
Oggi “sento”, che è più che "capire"; mi rendo conto che è difficile rendere con le parole questa sensazione vertiginosa che mi sembra chiudere una stagione della vita e aprirne un’altra.
Non ricordo chi ha detto che la cultura è ciò che resta quando le nozioni si perdono: forse è anche smettere di capire e lasciarsi abbracciare.
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