L'Altro e le sue declinazioni (II)

Due volte stranieri *

I Greci distinguevano gli stranieri in Xenoi e Barbaroi.
Kylix: raffigura un combattimento fra un soldato ateniese e una persiano (in basso a sinistra)

Xenos è lo straniero dal punto di vista politico, colui che appartiene ad una comunità diversa dalla propria ma che è comunque parte della medesima comunità di sangue, lingua, culti, costumi,  che in Erodoto definisce il to Hellenicon, la Grecità come unità etnico-culturale:
«L’essere Greci (tò Hellenikón), la comunanza di sangue e di lingua, i santuari e i sacrifici comuni, gli usi e costumi simili: tradire tutto ciò sarebbe disdicevole per gli Ateniesi» (Storie, VIII,144)
I Barbari sono tutti i non Greci, rappresentano, nella visione elleno-centrica, l’alterità radicale, gli irriducibilmente estranei: non sono di stirpe greca, non parlano greco, emettono un balbettio inarticolato (la parola barbaro è voce onomatopeica) che li rende assimilabili agli animali, vicini al subumano per la rozza ferocia dei loro costumi. Ma, soprattutto, hanno con lo stato un rapporto di servitù, che li caratterizza come douloi (servi) di fronte al dispotismo del monarca, a differenza dei Greci che si pongono di fronte allo stato come cittadini liberi e autonomi : “di nessun mortale sono chiamati servi né sudditi” (Eschilo, Persiani, vs. 242)
I Barbari dunque sono in totale contrapposizione rispetto ai Greci, ne sono l’immagine negativa.
Con loro Barbari non si è tenuti a obbedire all’obbligo sacro della mutua accoglienza ma è necessario difendersi anche ricorrendo alla violenza del polemos (guerra).
È’ il barbaro a far maturare nell’uomo greco la coscienza della propria identità: è il contatto con i Barbari, che per i Greci si verifica nel contesto delle guerre persiane, che contribuisce a definire l’identità greca, caratterizzata da un senso di superiorità che investe la sfera della civiltà e della cultura politica. La letteratura contemporanea offre molte testimonianze in questo senso: Eschilo, Persiani, 1176 sgg; Eschilo Supplici 370 sgg; Euripide, Ecuba, 1199 sgg. ; Euripide, Elena, 276; Euripide, Ifigenia in Aulide, 1400.

Nel corso del IV secolo si fa strada l’idea che la superiorità dei Greci sui Barbari sia  di natura etnica, non più soltanto politica.
Nella Politica (1285 a 20; 1327 b 20), Aristotele si spinge a dire che i Barbari  sono schiavi per natura e questo li porta a lasciarsi governare da un potere dispotico; riprendendo la teoria ippocratica dei climi, il filosofo definisce i popoli asiatici più servili degli europei, perciò i barbari sono più servili dei Greci e questo spiega come possono sopportare senza difficoltà il dispotismo esercitato su di loro. In questo modo il fenomeno del dispotismo può essere circoscritto ai popoli asiatici.
Anche Isocrate (Antidosi, Panegirico, Panatenaico) considera i barbari inferiori per natura ed esalta  la superiorità degli Ateniesi in areté e paideia: «Voi vi segnalate sugli altri (…), per quelle qualità per cui la natura umana si eleva sugli animali e la stirpe ellenica sui barbari, cioè per avere un educazione superiore agli altri nel pensiero e nella parola» **
Quindi tra Greci e Barbari non esiste più la contrapposizione di natura politica tra polites e doulos , ma si afferma l’idea di una vera e propria superiorità etnica dei Greci.
Progressivamente la Grecità, il tò Hellenikón di cui parlava Erodoto, viene ad essere considerato sinonimo di cultura e civiltà, in contrapposizione all’Oriente barbaro, non più soltanto in senso politico ma anche negli stili di vita connessi alle caratteristiche naturali della razza.

Da quanto si è detto, possono individuarsi due definizioni di straniero nel mondo greco: in senso culturale (il barbaros), in senso politico (lo xenos).
Ma se la percezione dello xenos non risente dell’estraneità etnico-culturale dei Barbari, non è scontato nei loro confronti un atteggiamento di tolleranza e di apertura. Lo xenos è principalmente lo straniero privo di diritti, potenzialmente nemico se non intervenissero rapporti di tipo personale o familiare, a trasformarlo in ospite, o convenzioni stipulate a livello di comunità che lo proteggono. Questo è in fondo il portato del frazionamento politico del mondo greco, in cui ogni polis è in posizione antagonistica rispetto alle altre: i rimedi praticati furono la xenìa, il suo successivo sviluppo detto prossenia, l’asylìa, le convenzioni fra stati dette symbola, symbolài.
La xenìa era una forma d’ospitalità fondata sulla reciprocità, prevedeva la mutua assistenza, con la concreta l’offerta di vitto e alloggio o con la rappresentanza di fronte alla comunità ospitante;  spesso era sancita dallo scambio di symbola, piccoli oggetti spezzati in due che servivano come oggetti di riconoscimento e prova di legami d’ospitalità contratti precedentemente. Il patto rendeva i contraenti philoi, reciprocamente obbligati dai doveri dell’ospitalità.
Grazie all’istituto della xenia in epoca arcaica le famiglie aristocratiche riuscirono a intrecciare una fitta rete di rapporti oltre la comunità d’appartenenza.

*(Da Cinzia Bearzot, Rivendicazione di identità e rifiuto dell’integrazione nella Grecia antica, Franco Angeli)




** ISOCRATE Antidosi, 293-94 

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