La mia professoressa di matematica al liceo ci
consigliava spesso di aprire il vocabolario di italiano e di navigare fra le
parole: diceva proprio “navigare” in tempi in cui Internet era ancora sconosciuto. Non c’è bisogno di
dire che non seguii quel consiglio che trovavo inutile e piuttosto eccentrico,
la bellezza del viaggiare sul filo delle parole l’avrei scoperto più tardi,
insieme alla consapevolezza di quanto fosse brava la prof, ma nell’educazione,
si sa, i risultati si misurano sui tempi lunghi.
Quello che segue è il risultato di una navigazione fra
le parole che in latino e in greco designano lo straniero, un viaggio fra realtà lontane e al tempo
stesso vicine, diverse dalla nostra ma anche uguali, ed è a queste differenze e somiglianze che
dovremmo cominciare ad abituare –anche se con un po’ di fatica- la nostra vita.
Se nella nostra lingua le
parole nemico, straniero, ospite,
rimandano a condizioni concettualmente e giuridicamente differenti, nel latino,
nel greco e in altre lingue indoeuropee, il termine che designa lo straniero
contiene contemporaneamente tutte le figure dell'alterità, e cioè il
forestiero, l’estraneo, il nemico - ma anche lo strano, lo straniante - in una
parola tutto ciò che è altro da noi, anche se con noi viene comunque in
rapporto.
In latino, per un lungo
periodo, lo straniero, nelle sue varie accezioni, fu detto hostis. Contrapposto al cittadino, all'in-genuus,
colui che appartiene per nascita, dunque per sangue e cultura, alla comunità
originaria di riferimento, il termine hostis
indicava lo straniero, ma non aveva assunto una caratterizzazione ostile, non
individuava ancora, come avvenne più tardi, l’estraneo alla comunità animato da
intenzioni ostili.
Hostis era un termine di molteplici significati, espressione dell'ambivalenza sempre sottesa, allora come ora, alla percezione dell'altro, in bilico fra apertura e chiusura, curiosità e diffidenza.
Hostis era un termine di molteplici significati, espressione dell'ambivalenza sempre sottesa, allora come ora, alla percezione dell'altro, in bilico fra apertura e chiusura, curiosità e diffidenza.
Che lo straniero non sia stato sempre
sovrapponibile al nemico lo confermano
anche altri termini impiegati per indicare lo straniero, come advena,
“colui che viene da fuori”, o peregrinus, colui che è al di fuori dei
limiti della comunità: termini neutrali, privi di accezioni antagonistiche.
Nelle Leggi delle XII Tavole, l'hostis era
colui che non apparteneva al popolo romano, ma per il quale valevano i diritti
previsti per i cittadini romani. Ciò significa che l’hostis era
colui che, provenendo dall'esterno, era stato uguagliato in diritto al
cittadino romano, sulla base di un accordo (cfr. il verbo Hostire, sinonimo di aequare =
contraccambiare, uguagliare, o compensare oppure il sostantivo hostia, che indica non solo i buoi dei
sacrifici, ma anche, in ambito giuridico, il pareggio dei doni ospitali).
Il passaggio di hostis da sinonimo di peregrinus (forestiero) a equivalente di inimicus o perduellis (nemico pubblico, nemico di guerra) è illustrato in un passo del De officiis di
Cicerone, (I par. 37)
Una volta che hostis si è caricato di
significati ostili, dalla radice ghosti,
la stessa che ha dato origine a hostis,
viene coniato hospes a designare l’ospite.
Contemporaneamente,
vanno a differenziarsi anche i termini con cui si definisce colui con cui si
hanno rapporti di ostilità a seconda della sua posizione rispetto alla civitas: hostis (o
perduellis) è il nemico esterno e
pubblico, contro cui si combatte, inimicus è il nemico interno
e privato, il concittadino contro cui battersi fino alla possibilità dell’annientamento.
Lo straniero può diventare hostis. Ma hostis non
esaurisce il significato dello straniero, per il quale resta sempre aperta la
possibilità di divenire ospite,
oggetto di dono e di accoglienza. Hostis e hospes: due
condizioni non immutabili ma dinamiche, suscettibili di modificarsi e di tradursi
l’una nell’altra, hospes in hostis, hostis in hospes .......
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