La fedeltà dell'infedele Emma


In Grecia il teatro – come molto altro ancora – era roba da uomini. Le storie, sanguinose e complesse, delle eroine del mito, riscritte da poeti maschi, erano interpretate da attori in vesti femminili, in teatri interdetti alle donne anche da spettatrici.

Si direbbe che il teatro fosse per gli uomini l’occasione di esplorare il femminile dall’interno mentre le donne ne restavano chiuse fuori. Strana condizione.
E se Medea, Antigone e le altre, offrivano l’occasione per interrogarsi su necessità e libertà, responsabilità individuale e colpe ataviche, dibattere sulla città e le sue leggi, occuparsi di uomini e dei, scrutare l’abisso di anime incandescenti, sondare il mistero, alle donne restava la vita nuda e cruda, senza alcuna rielaborazione, nei ceppi invisibili e potenti della marginalità e della subordinazione.
A ribaltare tutto questo, appena 2500 anni dopo, secolo più secolo meno, ci ha pensato una donna.
Emma Dante, regista talentuosa e un po’ folle, nel suo controverso Eracle, presentato al 54 Festival del teatro greco di Siracusa, riprendendo – e rovesciando- la consuetudine di affidare tutte le parti ad attori dello stesso sesso, ha messo in scena una tragedia tutta al femminile, con attrici che sostengono anche i ruoli maschili, a parte i vecchi del coro ( in abiti femminili).
Maschile/femminile, spesso in conflitto nella tragedia classica, nell’Eracle secondo Emma Dante si sovrappongono, si confondono, sfumano: corpi virilizzati di donne ospitano fragilità maschili, destini spezzati esigono risposte di virile eroismo; Eracle stesso è una creatura di confine, né del tutto uomo, né del tutto donna, salvatore e salvato, muscoli e sensibilità.
Non è questa l’unica linea di confine ad essere violata: all’insegna della contaminazione fra generi, scene di forte impatto emotivo enfatizzate da nenie intensamente patetiche, non impediscono momenti d’ilarità o spiazzanti anacronismi (Eracle, reduce dai  successi delle sue fatiche firma autografi e si concede selfie con i fans!); tamburi incalzanti sottolineano la crudezza della voce dai timbri più viscerali e sgraziati (penso soprattutto ad Anfitrione che, sulla sedia a rotelle, sibila e crepita la sua disperazione), per fondersi felicemente con balli tribali, danze da dervisci rotanti, ma anche movenze da pupo siciliano (che ben si addicono a  Eracle, mosso da divinità rancorose) e  ipnotica musica techno.

Il risultato è uno spettacolo dal ritmo incalzante, giocato sul linguaggio concreto dei corpi, capace di coinvolgere tutti i sensi dello spettatore.
Assistere alla rappresentazione dell’Eracle è come andare sulle montagne russe delle emozioni. Troppo per i puristi che vanno a teatro col testo di Euripide in mano (senza traduzione a fronte, ça va sans dire), dimenticando che gusto della contaminazione, ribaltamenti, ingegnose variazioni, ironia corrosiva, erano già in quel genio singolare e dissacrante che fu Euripide: muovendosi nella medesima direzione Emma Dante può dirsi fedele all’originale, come lo si può essere a venticinque secoli di distanza, fra persistenze e cambiamenti.


 















Commenti