Il Pugile a riposo fra Gabriele Tinti e Kevin Spacey al reading romano |
Quando Arte chiama Arte risponde. E’ già
successo, succede, e succederà ancora.
Immagini creano parole, poesie plasmano
sculture, mistero interroga mistero, in una rete di echi, variazioni e rimandi
che avvolge di fascino e magia il fruitore. E se Bernini per la sua sensuale
Proserpina rapita da Plutone guardò a Ovidio,
rovine e frammenti di classicità
folgorarono più di un poeta romantico; nel Novecento Rilke si lasciò
ammonire e quasi consigliare dal Torso di Mileto[1],
mentre non sappiamo con precisione quale
scultura (forse il Busto del Belvedere?) abbia ispirato la Statua greca di Wislawa Szymborska, impegnata a resistere agli oltraggi del
tempo.
Ai nostri giorni, a fare poesia
ispirandosi a sculture antiche (o a quel che ne resta) ci pensa Gabriele
Tinti, il sensibile poeta ecfrastico che su capolavori come il Pugile
a riposo, il Galata suicida, l’Atleta di Fano,
il Fauno Barberini, il Discobolo, i marmi
del Partenone, l’Ercole Farnese e molti altri ancora, ha
costruito suggestive narrazioni poetiche, nelle quali, come sgravati dall’oblio
e dalla materia, tornano in vita storie, emozioni e sentimenti dei soggetti
rappresentati.
Dare la parola all'Antico, in tempi
angustiati dall’indistinto rumore di fondo di un presente onnipresente,
è già opera meritoria. Ma a Tinti non basta e, inoltrandosi più a fondo
sui sentieri della contaminazione, è solito affidare i suoi componimenti alla
voce e al gesto di attori del calibro di Franco Nero, Joe Mantegna, Alessandro
Haber, Marton Csokas, Robert Davi, Vincent Piazza, Luigi Lo Cascio, Enrico Lo
Verso, Burt Young, Anatol Yusef, per
rappresentazioni in location prestigiose, come il Metropolitan
di New York, il Getty di Los Angeles, il British Museum di Londra, il Museo
Archeologico di Napoli, i Musei Capitolini, il Museo Nazionale Romano, il Museo
dell’Ara Pacis e tanti altri ancora.
E’ il progetto Rovine,
che impegna Tinti da qualche anno:
donare nuova vita alle statue antiche, ri-membrare -nel senso di ridare corpo e
voce alle disiecta membra- quel che resta del nostro passato, non è
solo un modo di prendersene cura ma anche il tentativo, attraverso
la parola poetica, di sottrarlo allo scorrere incessante del tempo, di
sospendere l’inesorabile scivolare “nell’indifferenza dell’inorganico”[2], di consegnarlo al presente dell’ emozione
perché ci resti ancora “qualcosa per dopo”.[3]
L’ultima performance è quella del 2 agosto scorso, a
Roma, presso la sede di Palazzo Massimo del Museo Nazionale Romano, dove il due
volte premio Oscar Kevin Spacey ha letto - nella versione inglese - i versi di Tinti ispirati alla statua
bronzea del Pugile
a riposo attribuita a
Lisippo, uno dei più importanti capolavori
giunti sino a noi dall’antichità. Un reading a
sorpresa che ha incantato i presenti e ha consentito a Spacey di tornare a
esibirsi in pubblico, con classe e discrezione, dopo le disavventure del
dissennato metoo.
Parlando della sua poesia ispirata alla
scultura Tinti ha detto: “Di
fronte al Pugile non ho potuto far altro che cantare tutta la fragilità, la
solitudine, il peso d'una vita drammatica. Rappresentato dall’artista nell’atto
di volgere il capo nel mentre qualcosa di speciale sta accadendo (Kairós), il
pugile è seduto, fortemente segnato da ferite profonde e da un copioso
sanguinamento su tutto il lato destro del corpo. Non sappiamo con certezza che
cosa significhi quel volgersi del capo: è forse l'ascolto del verdetto del
giudice? O una nuova chiamata al combattimento? È uno sguardo alla folla
incitante? O forse una muta interrogazione a Zeus alla ricerca di una qualche
risposta? Le numerose controversie scaturite nel tentativo di spiegare quel
gesto hanno fondato tutto il mistero e la poesia, tutta la seduzione, dell’opera”.
Nel
testo di Tinti – un testo drammatico, dal ritmo martellante, di forte impatto
emozionale- il Pugile è uno sfruttato, programmato a battersi
per il divertimento delle folle, a sudare per distruggere e cadere, ad attraversare la vita come uno
spavento, con l’orgoglio di aver galvanizzato le arene, le vene
pulsanti sangue brillante e voglia di precipitare.
E’ suo il combattimento che racconta, l’ultimo: colpo su colpo, ferita contro
ferita, danzando a piccoli passi sotto l’occhio implacabile dell’avversario,
credendo di avere il controllo, fino all’ultimo, fino al colpo fatale, che
chiude il cerchio di un destino già scritto in un mare rosso di sangue.
Oltre, tutto è splendore e in quella lontananza di pace c’è un
uomo, un uomo soltanto. O forse un eroe, all’altezza della sua
tragedia.
La
lettura di Rovine procura una strana emozione dolceamara,
forse perché la poesia di Gabriele Tinti muove da un sentimento di profonda
nostalgia per quella stagione mitica – e perduta - dell’arte e della poesia, in
cui i poeti riuscivano “a cantare davvero”, utilizzando “la parola viva con
voce divina”[4]: è un atto d’amore la sua scrittura, il
tentativo di ricucire gli orli dello strappo irrimediabile fra noi e l’età
mitica in cui “gli dei camminarono fra gli uomini”[5].
E tra il brivido della vita che torna e il
dolore della fine, regala a noi, barbari balbettanti di fronte a un mondo
perduto, qualche bagliore d’eternità.
Questo articolo si basa su:
“Kevin Spacey legge Il Pugile di
Gabriele Tinti” in ClassicoContemporaneo
5
“Il progetto Rovine
di Gabriele Tinti“ di G. Tinti e Rosanna
Valente in ClassicoContemporaneo 4
R.M.Rilke, Arcaico torso d’Apollo
Wislawa
Szymborska, Statua greca
[1] Il
titolo della poesia di Rilke è Archaischer Torso Apollos (Arcaico torso d’Apollo )
[2]
“Kevin Spacey legge Il Pugile di
Gabriele Tinti” in ClassicoContemporaneo
5
[3]
Wislawa
Szymborska, Statua greca
[4]
G. Tinti,
Rovine, Omero
[5] F. Holderlin,
Un tempo gli Dei camminarono fra gli
uomini
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