Il racconto che vado a
pubblicare si intitola Il giorno giusto ed è stato scritto da Talef Sangalli: ha 15 anni,
è uno studente della 2^ F del Liceo Classico Lanza di Foggia, è un mio alunno.
Il racconto è nato in modo
molto spontaneo: in occasione della Giornata della Memoria, ho proposto alla
classe la visione del corto “Quattro
banchi vuoti”, realizzato qualche anno fa da studenti del Convitto Nazionale
Umberto I di Torino - un lavoro veramente ben fatto, che consiglio di vedere- e
un mio racconto breve, che prendeva spunto da una foto dell’epoca.
La conversazione che è
seguita è stata particolarmente bella, perché i ragazzi hanno partecipato con
vivacità e interesse sinceri, non puramente “scolastici”. Ho chiesto poi di provare
a costruire una storia su quello di cui si era parlato. Talef ha accolto l’invito,
producendo un breve testo che inizialmente ripropone la stessa situazione del
film, ma che nella parte successiva introduce, con sensibilità e coraggio, delle questioni forti, particolarmente
dolorose, che in classe non abbiamo affrontato: il silenzio di Dio, il senso di colpa dei sopravvissuti al lager, la
difficoltà – o l’impossibilità- di
tornare alla vita normale dopo quell’esperienza devastante.
In questi giorni di pausa forzata,
ho ripreso il testo, l’ho un po’ “asciugato” e appena ritoccato; con l’autorizzazione
dell’autore e dei suoi genitori - che ringrazio- lo pubblico.
Non è mia abitudine fare “la
splendida” ma avvicinare o incoraggiare i
giovani alla pratica della scrittura è per me un motivo di grande gioia e poi
credo che le cose belle che si realizzano insieme agli studenti debbano essere
conosciute.
Buona lettura!
IL
GIORNO GIUSTO
Mi fa ancora strano ripensare
alla mia stanza di quando ero piccolo, e a tutta la normalità prima di quella
tragedia: le ore passate a scuola con i compagni, il cortile dove facevamo
ricreazione tutti insieme, e poi di nuovo in classe, a farci divorare dalla
noia mortale delle lezioni. Niente, pensandoci adesso, in confronto a quello
che avrei passato poi.
Tutto trascorreva col ritmo
consueto, tutti i nostri domani erano pieni di serenità. Ma poi cominciammo a
percepire che qualcosa di diverso, di disumano, stava per accadere; una
preparazione al buio, studiata nei minimi dettagli e pronta a dare scacco matto
al momento opportuno, quando nessuno se l’aspettava.
Un giorno, nell’ora di
Italiano, venne in classe l’insegnante di Matematica: dalle sue labbra uscirono
tre nomi, fra cui il mio, e con un cenno ci fece capire di seguirla fuori
dall ’aula.
Il percorso fino all ’ufficio del preside fu di un silenzio così profondo e
palpabile che ognuno poteva sentire il battito del cuore degli altri.
Il
preside ci accolse con un sorrisetto ebete, mentre ci comunicava laconicamente
che non avremmo potuto più mettere piede in quella scuola, né in un’altra del
territorio nazionale. Era per effetto delle leggi razziali. Era la legge. Era
così e basta.
Da
quel giorno si stravolse tutto: per la mia famiglia cominciarono dapprima
aggressioni verbali, poi fisiche: roba quasi “piacevole” rispetto a quel che ci
sarebbe toccato dopo. Un giorno salimmo su un treno, ci deportarono insieme a
migliaia di persone, ebrei, rom, omosessuali, disabili, comunisti, persone con
un credo religioso “sbagliato”: tante vite
spezzate perché la razza ariana non fosse contaminata, perché un sogno folle di perfezione e purezza
andasse avanti.
Sono sopravvissuto. Alla fame,
al lavoro sfiancante, alle malattie del campo, alla mia famiglia, travolta in
quell ’ingranaggio di morte nel giro di poche settimane. Al mio amico Armando,
un amico del campo (sì, in quel campo ho avuto amici), che ho visto morire,
ucciso da uno di loro senza un
perché, per gratuita crudeltà.
Dove’era Dio? Dov' è? Se c’è,
come ancora dicono, si facesse avanti, ho tanto da raccontare, e tanti perché senza risposta. Solo silenzio.
Sono un sopravvissuto, sono
stato fortunato. Solo, di notte, quasi tutte le notti, quel maledetto campo
visita i miei incubi. E’ lì che è rimasta intrappolata la mia vita. Sono
sopravvissuto ma dentro sono morto. E una cosa l’ho imparata: che l’odio è un
sentimento facile e potente, che sarà sempre nell’animo umano, per questo ho
perso fiducia in tutto e tutti, perfino in me stesso.
Non voglio vivere se gli altri
non ce l’hanno fatta, non lo merito, e non merito di soffrire ancora. Voglio
uscire dal campo, voglio farla finita. Domani sarà il giorno giusto.
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