Adèle Haenel (Héloise) e Noémie Merlant (Marianne) in una scena del film |
Il Ritratto della ragazza in fiamme, premiatissimo film di Céline
Sciamma, è uno di quei film che ti restano come incollati addosso: ti chiedono
qualcosa, o forse hanno ancora qualcosa da dire, qualcosa che sta sotto il
significato più evidente, che ti è sfuggito, che se ne sta sospeso… In casi come questo c’è solo una cosa da
fare: scrivere.
La nobildonna ha convocato una
pittrice, Marianne, per commissionarle il ritratto della giovane figlia, fatta
rientrare dal convento per darla in moglie – contro la sua volontà - a un gentiluomo
italiano. Il ritratto è destinato al futuro sposo, servirà a fagli conoscere
Héloise, mai incontrata di persona. La Contessa desidera che il dipinto preceda
la figlia a Milano, nella casa dove vivrà col marito: anche lei, quando si
sposò ed entrò per la prima volta nella casa coniugale, trovò ad attenderla il
suo ritratto, che è ancora alla parete.
Al castello vi è qualche reticenza
sulla scomparsa della sorella più grande di Héloise; Marianne verrà poi a
sapere che la giovane si è suicidata lanciandosi dalla scogliera per sfuggire a
un matrimonio impostole dalla famiglia. Héloise, come lei stessa spiega alla
pittrice, ne ha “ereditato il destino”: per questo si oppone decisamente alla
realizzazione del quadro e alle nozze. E poiché in precedenza, con un altro artista,
Héloise aveva rifiutato di posare per il dipinto, la madre suggerisce alla
pittrice di ingannarla fingendo di essere una dama di compagnia: di nascosto,
all’insaputa della giovane, ne realizzerà il ritratto.
L’opera procede con qualche difficoltà.
Quando il quadro è completato Marianne svela ad Héloise l’inganno, che è motivo
di contrasto e fa emergere tensioni sopite fra le due. Ad Héloise il ritratto
appare mediocre e finisce col convincere di questo anche Marianne: dopo aver
dato alle fiamme il ritratto incompiuto del pittore che l’aveva preceduta, Marianne
cancella il ritratto da lei eseguito per realizzarne una nuova versione, questa
volta con la collaborazione di Héloise che ha cambiato idea ed è disposta a posare.
Lo sguardo dell’artista su di lei segna l’inizio di un cambiamento nella
giovane, ma anche Marianne, sotto lo sguardo di Héloise, comincia a mettersi in
discussione, a guardare più a fondo anche in se stessa, riconoscendo i suoi
desideri più autentici.
La madre concede altri dieci giorni
per la realizzazione dell’opera e parte: esige che al suo ritorno il quadro sia
eseguito alla perfezione e pronto per essere inviato a Milano.
In sua assenza tra le due ragazze nasce
l’amore. La realizzazione del ritratto procede speditamente, con soddisfazione
di entrambe; anche il loro legame si approfondisce con momenti di intensa
felicità. Durante i giorni della convivenza nasce anche un rapporto d’amicizia
fra le due ragazze e Sophie: più che una domestica, è un’amica con cui
condividere svaghi e letture. Quando Sophie decide di interrompere una
gravidanza indesiderata, le due la sostengono e le sono accanto.
Intanto i giorni passano: la Contessa
fa ritorno al castello, le nozze di Héloise sono imminenti; il ritratto, ormai
terminato, è inviato a Milano. Héloise, pur amando Marianne, decide di non
opporsi alle nozze; la pittrice è delusa, aveva sperato che Héloise avrebbe
difeso il loro amore con più determinazione e coraggio, sfidando le convenzioni.
Col tempo Marianne si farà una ragione
di quella separazione, rielaborerà il lutto dedicandosi completamente all’arte;
anni dopo, non vista, rivedrà Héloise: dapprima in un dipinto, in cui è
ritratta con la sua bambina, poi di persona, a teatro, durante l’esecuzione
dell’Estate di Vivaldi, un brano
musicale che proprio Marianne le aveva fatto conoscere ai tempi del loro amore.
Sia nell’una che nell’altra occasione Marianne avrà la prova che Héloise non
l’ha dimenticata e che è ancora presente nella sua vita; l’amore che le ha
unite e ha determinato il destino di entrambe resta vivo e forte anche se le
loro strade si sono divise.
Il mito di Orfeo
In un passaggio-chiave del film Héloise,
Marianne e Sophie si dedicano alla lettura del mito di Orfeo nella versione di
Ovidio. La storia è notissima: Orfeo, il mitico poeta dal canto meraviglioso, dopo
la morte dell’amata moglie Euridice scende nell’Ade intenzionato a riportarla
con sé in superficie. Gli dei inferi, commossi dal suo canto, glielo concedono a
patto che, durante la risalita, non si volti mai indietro a guardarla. Orfeo,
non rispettando il divieto, si volta ed Euridice scompare immediatamente.
Il mito di Orfeo è un mito di amore e morte,
Orfeo è connesso all’orfismo, ai
culti misterici di purificazione e rinascita. Vi è una concezione arcaica della
morte che la pone in relazione simbolica col matrimonio: il matrimonio
rappresenta una morte – non fisica ma simbolica - in cui la donna muore come fanciulla per rinascere moglie; si tratta di una morte
intesa come rinnovamento, un passaggio necessario per permettere alla vita di
rinnovarsi. Quest’ idea della morte è priva di significato negativo, in quanto
essa non è il contrario della vita, ma quasi una tappa della vita stessa, alla
quale consente di fare ritorno rinnovati e migliorati: è un’idea della morte
matrice di vita. Nel film il matrimonio e la morte sono subito associati attraverso
il riferimento alla sorella di Héloise, si è tolta la vita per opporsi al
matrimonio forzato.
Ed è presente anche l’idea di non
contrapposizione fra vita e morte quanto piuttosto di un confine sottile fra
esse: l’aborto di Sophie avviene su un letto dove giocano dei bambini, uno di
quali è un neonato che, dopo l’intervento, accarezza tranquillo il viso della
ragazza. E’ un aborto, ma potrebbe sembrare anche un parto. Vita e morte
sembrano sovrapporsi, scambiarsi.
Ancora, nelle
notti al castello, al fioco lume di una candela, più di una volta Marianne è
“visitata” da una visione di Héloise che le appare alle spalle, vestita di
bianco e con un’espressione grave: è una sposa? Una defunta? Capiremo in
seguito, quando vedremo Héloise provare l’abito da sposa che le ha portato la
madre. Le apparizioni di Héloise in abito nuziale, alle spalle di Marianne, si direbbero una prefigurazione dell’addio
(a me hanno fatto venire in mente i versi dei Sonetti a Orfeo di Rilke : “Anticipa ogni addio, quasi già fosse
alle tue spalle/ come l’inverno che ora se ne va”).
Leggendo il mito
di Orfeo, le tre giovani si appassionano alla domanda che appassiona i lettori
di tutti i tempi: perché Orfeo si è voltato indietro? E’ impaziente perché
troppo innamorato, dice dapprima Héloise, seguendo alla lettera il testo di
Ovidio; spiegazione poco credibile, per Marianne e Sophie: un divieto è un
divieto e Orfeo non doveva girarsi se voleva Euridice in vita. Forse in lui
sull’innamorato è prevalso il poeta, dice Marianne: Euridice doveva restare
fra i morti perché potesse vivere per sempre nell’eternità della poesia. Ma c’è
un’altra spiegazione, avanzata ancora da Héloise: Orfeo si è voltato indietro
perché è la stessa Euridice a chiederglielo, il loro è un addio sereno e consapevole,
non uno strappo irreparabile.
Il mito e l’interpretazione offerta da
Héloise è un’anticipazione di quello che sarebbe accaduto alle due donne: al
momento dell’addio, Marianne, dopo aver abbracciato per l’ultima volta Héloise,
scende a precipizio le scale poco illuminate per lasciare la casa; è sulla
soglia, già quasi alla luce del giorno, quando Héloise, sopraggiunta alle sue
spalle le dice: “Girati!”. Héloise-Euridice chiede a Marianne-Orfeo di girarsi,
ossia di accettare la separazione e permettere che ognuna vada per la propria
strada.
Quando qualche anno dopo l’addio, Marianne
è invitata a commentare un proprio dipinto che raffigura Orfeo e Euridice nel
momento in cui lui si volta, lo interpreta proprio nel senso dato al mito da Héloise,
di una serena accettazione del distacco.
La storia di Héloise e Marianne può allora
intendersi come una risignificazione del mito di Orfeo, un mito di
trasformazione, di rinascita. Entrambe le donne, alla fine della storia, non
sono le stesse che erano all’inizio: Héloise ha assunto felicemente il ruolo di
moglie e di madre che all’inizio rifiutava: il matrimonio rappresenta la morte della ragazza irrisolta e ribelle.
Ma anche Marianne muore: nella
possessività, nell’esclusività dell’amore; e dalla tristezza della perdita rinasce
“libera e sola” nonché artista compiuta (si direbbe che Marianne abbia sposato la pittura). Perché questa
trasformazione si verificasse è stato necessario lasciar andare il loro amore,
farlo morire perché vivesse per
sempre: come Orfeo con Euridice, perduta per sempre e per sempre viva nella
realtà superiore della poesia.
La trasformazione di Héloise si
accompagna a quella del suo ritratto: anch’esso si modifica, passa per vari
tentativi, anche per la distruzione nel fuoco, prima del suo compimento;
diversamente il ritratto della madre (quasi un “doppio” della donna) resta
immutato negli anni, fermo nella sua fissità, sempre indietro rispetto alla
vita e alla legge del cambiamento che la governa.
Si direbbe che vive una vita piena e
vera chi si dispone al cambiamento, chi accetta la morte – psicologica,
simbolica- per ricostituirsi su nuove basi (Héloise, Marianne), chi invece non
sa fare questo, va incontro all’autodistruzione (la sorella suicida di Héloise)
o vive una vita insoddisfacente, sempre in cerca di distrazioni (la Contessa).
Il fuoco
Che sia luce del sole, lume di
candela, fuoco del caminetto, falò di una festa all’aperto, il fuoco è sempre
presente, anche il titolo del film vi fa riferimento. Al fuoco allude anche il
colore degli abiti indossati dalla pittrice, di un colore solo, rosso, in
tonalità diverse. In verità nella storia compaiono anche gli altri elementi:
terra (la scogliera, la campagna, in cui si tiene la festa fra donne o si raccolgono
erbe); acqua (il mare); aria (col riferimento alla sensazione di volare
procurata dall’erba consumata nell’ultimo incontro d’amore). Ma solo sul fuoco
si insiste moltissimo. Perché? La risposta più immediata è che il fuoco è
connesso alla passione che lega le due protagoniste, o all’energia creativa
dell’arte, energia che a un certo punto si espande dalla pittrice al soggetto
ritratto, coinvolgendolo sempre più nella creazione artistica.
Ma il fuoco ha anche significati meno
ovvi, esoterici e simbolici. Al fuoco, l’elemento da cui hanno avuto origine
gli altri tre, gli alchimisti attribuiscono qualità vivificanti, in quanto
rende possibili tutte le metamorfosi della materia, anche la trasmutazione dei metalli
vili in oro. Il fuoco è un elemento maschile, dinamico, che genera trasformazioni, ma è anche un elemento
purificatore, in grado di elevare tutte le cose a un livello di perfezione maggiore,
la sua luce riflette la natura luminosa dello Spirito. E’ dunque un elemento ambivalente,
distrugge e crea, trasforma e divora. Tale ambivalenza è evidente anche nella
religione cattolica, in cui il fuoco - puro, spirituale, che sale verso l’alto-
rappresenta lo Spirito Santo, e sotto forma di fiamma inestinguibile il
tormento riservato ai dannati.
E’ il fuoco che rende possibile il
processo di trasmutazione alchemica. Esso si svolge in due tempi: al Solve (sciogli) - la fase della
distruzione nella quale la forma della materia è sciolta per liberarla da tutte
le impurità - segue il Coagula
(riunisci), ovvero la ricostituzione in altra forma. La fase di distruzione si
verifica proprio grazie al fuoco; la materia grezza è posta dall’alchimista in
un crogiolo, e fatta cuocere lentamente nel forno alchemico. Ma la
trasformazione dei metalli, del piombo in oro, avviene di pari passo a una
trasformazione interiore che si verifica nell’intimo dell’alchimista,
attraverso un processo di profonda conoscenza, presa di coscienza e
consapevolezza. Il Solve, dunque,
dovrebbe agire anche a livello interiore, in cui la liberazione dalle impurità
equivale all’individuazione, e alla conseguente distruzione, degli Ego, degli
intralci egoici che impediscono l’accesso al Sé, il Nucleo d’Oro.
Nel Ritratto, in più di una scena le tre donne trafficano intorno al camino;
le fiamme distruggono il primo tentativo di ritratto, che poi troverà
progressivamente, attraverso varie distruzioni e rifacimenti, la sua forma
compiuta; nella scena della festa fra donne le fiamme attaccano l’abito di Héloise,
Héloise stessa andrebbe a fuoco se Marianne e le altre non intervenissero in
suo soccorso; questa scena precede immediatamente quella in cui le due
ammettono di essere innamorate: Héloise sta bruciando d’amore, letteralmente.
Il fuoco dunque attacca il ritratto e la stessa Heloise: entrambi non ne escono
distrutti ma rinnovati, realizzati. Si direbbe che qui il fuoco alchemico sia
l’amore, il crogiuolo l’arte, e Marianne l’alchimista
che lavorando al ritratto, a una trasformazione,
trasforma anche se stessa, prendendo consapevolezza della sua identità e del
suo desiderio. Nel Ritratto l’amore e
l’arte sono l’agente e il mezzo che permettono la trasmutazione interiore delle
due protagoniste, le strade che le conducono alla scoperta del Sé.
Quello che
sto cercando di dimostrare è che Ritratto della ragazza in fiamme è un film raffinato e complesso, ricco di
riferimenti letterari, artistici, simbolici, esoterici, spirituali, che a me
sembrano riferirsi sia a una concezione dell’esistenza basata sulla credenza
dell’immortalità di una parte dell’essere, per cui la morte non è una fine
definitiva, ma piuttosto un passaggio necessario a rigenerarsi, sia all’individuazione
di una via trasformativa al femminile che consiste nell’entrare in contatto con la propria
natura profonda, nel riconoscimento del legame con il cosmo, per cambiare la propria esistenza, in un percorso
di consapevolezza che porti a vivere da protagoniste e non da vittime.
Andrò a cercare conferma di questo nella
simbologia dei colori, dei numeri, delle musiche del film.
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