Il "Ritratto della ragazza in fiamme" fra Mito e Alchimia (I)



Adèle Haenel (Héloise) e Noémie Merlant (Marianne) in una scena del film 

Il Ritratto della ragazza in fiamme, premiatissimo film di Céline Sciamma, è uno di quei film che ti restano come incollati addosso: ti chiedono qualcosa, o forse hanno ancora qualcosa da dire, qualcosa che sta sotto il significato più evidente, che ti è sfuggito, che se ne sta sospeso…  In casi come questo c’è solo una cosa da fare: scrivere.
 La storia è ambientata nel XVIII secolo, in un’isola al largo della costa della Bretagna; qui, in una dimora signorile, su un’alta scogliera di fronte al mare, vivono la Contessa, sua figlia Héloise e Sophie, la loro domestica.
La nobildonna ha convocato una pittrice, Marianne, per commissionarle il ritratto della giovane figlia, fatta rientrare dal convento per darla in moglie – contro la sua volontà - a un gentiluomo italiano. Il ritratto è destinato al futuro sposo, servirà a fagli conoscere Héloise, mai incontrata di persona. La Contessa desidera che il dipinto preceda la figlia a Milano, nella casa dove vivrà col marito: anche lei, quando si sposò ed entrò per la prima volta nella casa coniugale, trovò ad attenderla il suo ritratto, che è ancora alla parete.
Al castello vi è qualche reticenza sulla scomparsa della sorella più grande di Héloise; Marianne verrà poi a sapere che la giovane si è suicidata lanciandosi dalla scogliera per sfuggire a un matrimonio impostole dalla famiglia. Héloise, come lei stessa spiega alla pittrice, ne ha “ereditato il destino”: per questo si oppone decisamente alla realizzazione del quadro e alle nozze. E poiché in precedenza, con un altro artista, Héloise aveva rifiutato di posare per il dipinto, la madre suggerisce alla pittrice di ingannarla fingendo di essere una dama di compagnia: di nascosto, all’insaputa della giovane, ne realizzerà il ritratto.
L’opera procede con qualche difficoltà. Quando il quadro è completato Marianne svela ad Héloise l’inganno, che è motivo di contrasto e fa emergere tensioni sopite fra le due. Ad Héloise il ritratto appare mediocre e finisce col convincere di questo anche Marianne: dopo aver dato alle fiamme il ritratto incompiuto del pittore che l’aveva preceduta, Marianne cancella il ritratto da lei eseguito per realizzarne una nuova versione, questa volta con la collaborazione di Héloise che ha cambiato idea ed è disposta a posare. Lo sguardo dell’artista su di lei segna l’inizio di un cambiamento nella giovane, ma anche Marianne, sotto lo sguardo di Héloise, comincia a mettersi in discussione, a guardare più a fondo anche in se stessa, riconoscendo i suoi desideri più autentici.
La madre concede altri dieci giorni per la realizzazione dell’opera e parte: esige che al suo ritorno il quadro sia eseguito alla perfezione e pronto per essere inviato a Milano.
In sua assenza tra le due ragazze nasce l’amore. La realizzazione del ritratto procede speditamente, con soddisfazione di entrambe; anche il loro legame si approfondisce con momenti di intensa felicità. Durante i giorni della convivenza nasce anche un rapporto d’amicizia fra le due ragazze e Sophie: più che una domestica, è un’amica con cui condividere svaghi e letture. Quando Sophie decide di interrompere una gravidanza indesiderata, le due la sostengono e le sono accanto.
Intanto i giorni passano: la Contessa fa ritorno al castello, le nozze di Héloise sono imminenti; il ritratto, ormai terminato, è inviato a Milano. Héloise, pur amando Marianne, decide di non opporsi alle nozze; la pittrice è delusa, aveva sperato che Héloise avrebbe difeso il loro amore con più determinazione e coraggio, sfidando le convenzioni.
Col tempo Marianne si farà una ragione di quella separazione, rielaborerà il lutto dedicandosi completamente all’arte; anni dopo, non vista, rivedrà Héloise: dapprima in un dipinto, in cui è ritratta con la sua bambina, poi di persona, a teatro, durante l’esecuzione dell’Estate di Vivaldi, un brano musicale che proprio Marianne le aveva fatto conoscere ai tempi del loro amore. Sia nell’una che nell’altra occasione Marianne avrà la prova che Héloise non l’ha dimenticata e che è ancora presente nella sua vita; l’amore che le ha unite e ha determinato il destino di entrambe resta vivo e forte anche se le loro strade si sono divise.

Il mito di Orfeo
In un passaggio-chiave del film Héloise, Marianne e Sophie si dedicano alla lettura del mito di Orfeo nella versione di Ovidio. La storia è notissima: Orfeo, il mitico poeta dal canto meraviglioso, dopo la morte dell’amata moglie Euridice scende nell’Ade intenzionato a riportarla con sé in superficie. Gli dei inferi, commossi dal suo canto, glielo concedono a patto che, durante la risalita, non si volti mai indietro a guardarla. Orfeo, non rispettando il divieto, si volta ed Euridice scompare immediatamente.
Il mito di Orfeo è un mito di amore e morte, Orfeo è connesso all’orfismo, ai culti misterici di purificazione e rinascita. Vi è una concezione arcaica della morte che la pone in relazione simbolica col matrimonio: il matrimonio rappresenta una morte – non fisica ma simbolica - in cui la donna muore come fanciulla per rinascere moglie; si tratta di una morte intesa come rinnovamento, un passaggio necessario per permettere alla vita di rinnovarsi. Quest’ idea della morte è priva di significato negativo, in quanto essa non è il contrario della vita, ma quasi una tappa della vita stessa, alla quale consente di fare ritorno rinnovati e migliorati: è un’idea della morte matrice di vita. Nel film il matrimonio e la morte sono subito associati attraverso il riferimento alla sorella di Héloise, si è tolta la vita per opporsi al matrimonio forzato.
Ed è presente anche l’idea di non contrapposizione fra vita e morte quanto piuttosto di un confine sottile fra esse: l’aborto di Sophie avviene su un letto dove giocano dei bambini, uno di quali è un neonato che, dopo l’intervento, accarezza tranquillo il viso della ragazza. E’ un aborto, ma potrebbe sembrare anche un parto. Vita e morte sembrano sovrapporsi, scambiarsi.
Ancora, nelle notti al castello, al fioco lume di una candela, più di una volta Marianne è “visitata” da una visione di Héloise che le appare alle spalle, vestita di bianco e con un’espressione grave: è una sposa? Una defunta? Capiremo in seguito, quando vedremo Héloise provare l’abito da sposa che le ha portato la madre. Le apparizioni di Héloise in abito nuziale, alle spalle di Marianne, si direbbero una prefigurazione dell’addio (a me hanno fatto venire in mente i versi dei Sonetti a Orfeo di Rilke : “Anticipa ogni addio, quasi già fosse alle tue spalle/ come l’inverno che ora se ne va”).
Leggendo il mito di Orfeo, le tre giovani si appassionano alla domanda che appassiona i lettori di tutti i tempi: perché Orfeo si è voltato indietro? E’ impaziente perché troppo innamorato, dice dapprima Héloise, seguendo alla lettera il testo di Ovidio; spiegazione poco credibile, per Marianne e Sophie: un divieto è un divieto e Orfeo non doveva girarsi se voleva Euridice in vita. Forse in lui sull’innamorato è prevalso il poeta, dice Marianne: Euridice doveva restare fra i morti perché potesse vivere per sempre nell’eternità della poesia. Ma c’è un’altra spiegazione, avanzata ancora da Héloise: Orfeo si è voltato indietro perché è la stessa Euridice a chiederglielo, il loro è un addio sereno e consapevole, non uno strappo irreparabile.
Il mito e l’interpretazione offerta da Héloise è un’anticipazione di quello che sarebbe accaduto alle due donne: al momento dell’addio, Marianne, dopo aver abbracciato per l’ultima volta Héloise, scende a precipizio le scale poco illuminate per lasciare la casa; è sulla soglia, già quasi alla luce del giorno, quando Héloise, sopraggiunta alle sue spalle le dice: “Girati!”. Héloise-Euridice chiede a Marianne-Orfeo di girarsi, ossia di accettare la separazione e permettere che ognuna vada per la propria strada.
Quando qualche anno dopo l’addio, Marianne è invitata a commentare un proprio dipinto che raffigura Orfeo e Euridice nel momento in cui lui si volta, lo interpreta proprio nel senso dato al mito da Héloise, di una serena accettazione del distacco.
La storia di Héloise e Marianne può allora intendersi come una risignificazione del mito di Orfeo, un mito di trasformazione, di rinascita. Entrambe le donne, alla fine della storia, non sono le stesse che erano all’inizio: Héloise ha assunto felicemente il ruolo di moglie e di madre che all’inizio rifiutava: il matrimonio rappresenta la morte della ragazza irrisolta e ribelle. Ma anche Marianne muore: nella possessività, nell’esclusività dell’amore; e dalla tristezza della perdita rinasce “libera e sola” nonché artista compiuta (si direbbe che Marianne abbia sposato la pittura). Perché questa trasformazione si verificasse è stato necessario lasciar andare il loro amore, farlo morire perché vivesse per sempre: come Orfeo con Euridice, perduta per sempre e per sempre viva nella realtà superiore della poesia.
La trasformazione di Héloise si accompagna a quella del suo ritratto: anch’esso si modifica, passa per vari tentativi, anche per la distruzione nel fuoco, prima del suo compimento; diversamente il ritratto della madre (quasi un “doppio” della donna) resta immutato negli anni, fermo nella sua fissità, sempre indietro rispetto alla vita e alla legge del cambiamento che la governa.
Si direbbe che vive una vita piena e vera chi si dispone al cambiamento, chi accetta la morte – psicologica, simbolica- per ricostituirsi su nuove basi (Héloise, Marianne), chi invece non sa fare questo, va incontro all’autodistruzione (la sorella suicida di Héloise) o vive una vita insoddisfacente, sempre in cerca di distrazioni (la Contessa).

Il fuoco
Che sia luce del sole, lume di candela, fuoco del caminetto, falò di una festa all’aperto, il fuoco è sempre presente, anche il titolo del film vi fa riferimento. Al fuoco allude anche il colore degli abiti indossati dalla pittrice, di un colore solo, rosso, in tonalità diverse. In verità nella storia compaiono anche gli altri elementi: terra (la scogliera, la campagna, in cui si tiene la festa fra donne o si raccolgono erbe); acqua (il mare); aria (col riferimento alla sensazione di volare procurata dall’erba consumata nell’ultimo incontro d’amore). Ma solo sul fuoco si insiste moltissimo. Perché? La risposta più immediata è che il fuoco è connesso alla passione che lega le due protagoniste, o all’energia creativa dell’arte, energia che a un certo punto si espande dalla pittrice al soggetto ritratto, coinvolgendolo sempre più nella creazione artistica.
Ma il fuoco ha anche significati meno ovvi, esoterici e simbolici. Al fuoco, l’elemento da cui hanno avuto origine gli altri tre, gli alchimisti attribuiscono qualità vivificanti, in quanto rende possibili tutte le metamorfosi della materia, anche la trasmutazione dei metalli vili in oro. Il fuoco è un elemento maschile, dinamico, che genera trasformazioni, ma è anche un elemento purificatore, in grado di elevare tutte le cose a un livello di perfezione maggiore, la sua luce riflette la natura luminosa dello Spirito. E’ dunque un elemento ambivalente, distrugge e crea, trasforma e divora. Tale ambivalenza è evidente anche nella religione cattolica, in cui il fuoco - puro, spirituale, che sale verso l’alto- rappresenta lo Spirito Santo, e sotto forma di fiamma inestinguibile il tormento riservato ai dannati.
E’ il fuoco che rende possibile il processo di trasmutazione alchemica. Esso si svolge in due tempi: al Solve (sciogli) - la fase della distruzione nella quale la forma della materia è sciolta per liberarla da tutte le impurità - segue il Coagula (riunisci), ovvero la ricostituzione in altra forma. La fase di distruzione si verifica proprio grazie al fuoco; la materia grezza è posta dall’alchimista in un crogiolo, e fatta cuocere lentamente nel forno alchemico. Ma la trasformazione dei metalli, del piombo in oro, avviene di pari passo a una trasformazione interiore che si verifica nell’intimo dell’alchimista, attraverso un processo di profonda conoscenza, presa di coscienza e consapevolezza. Il Solve, dunque, dovrebbe agire anche a livello interiore, in cui la liberazione dalle impurità equivale all’individuazione, e alla conseguente distruzione, degli Ego, degli intralci egoici che impediscono l’accesso al Sé, il Nucleo d’Oro.
Nel Ritratto, in più di una scena le tre donne trafficano intorno al camino; le fiamme distruggono il primo tentativo di ritratto, che poi troverà progressivamente, attraverso varie distruzioni e rifacimenti, la sua forma compiuta; nella scena della festa fra donne le fiamme attaccano l’abito di Héloise, Héloise stessa andrebbe a fuoco se Marianne e le altre non intervenissero in suo soccorso; questa scena precede immediatamente quella in cui le due ammettono di essere innamorate: Héloise sta bruciando d’amore, letteralmente. Il fuoco dunque attacca il ritratto e la stessa Heloise: entrambi non ne escono distrutti ma rinnovati, realizzati. Si direbbe che qui il fuoco alchemico sia l’amore, il crogiuolo l’arte, e Marianne l’alchimista che lavorando al ritratto, a una trasformazione, trasforma anche se stessa, prendendo consapevolezza della sua identità e del suo desiderio. Nel Ritratto l’amore e l’arte sono l’agente e il mezzo che permettono la trasmutazione interiore delle due protagoniste, le strade che le conducono alla scoperta del Sé.

Quello che sto cercando di dimostrare è che Ritratto della ragazza in fiamme è un film raffinato e complesso, ricco di riferimenti letterari, artistici, simbolici, esoterici, spirituali, che a me sembrano riferirsi sia a una concezione dell’esistenza basata sulla credenza dell’immortalità di una parte dell’essere, per cui la morte non è una fine definitiva, ma piuttosto un passaggio necessario a rigenerarsi, sia all’individuazione di una via trasformativa al femminile che consiste nell’entrare in contatto con la propria natura profonda, nel riconoscimento del legame con il cosmo, per cambiare la propria esistenza, in un percorso di consapevolezza che porti a vivere da protagoniste e non da vittime.
Andrò a cercare conferma di questo nella simbologia dei colori, dei numeri, delle musiche del film.

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