Al fuoco è connessa la simbologia del
rosso, il colore degli abiti indossati da Marianne, dapprima di un rosso più
cupo, poi più vivido e brillante. Il rosso condivide col fuoco il carattere
ambivalente: indica passione, desiderio, energia, ma anche rabbia e distruzione
(non a caso è anche il colore di Marte, dio della guerra, che esprime il temperamento
aggressivo, maschile, attivo); come il fuoco, il rosso è collegato al divino e
al demoniaco, per questo esso può riferirsi sia alla collera e all’eros che
alla purificazione e trasformazione spirituale. Ancora, il rosso è il colore
della trasformazione rivoluzionaria (rosse le bandiere che dal 1848 in poi sono
state emblema di tutte le rivoluzioni) e del rinnovamento della vita (rosso è
il sangue versato nei sacrifici agli dei per rivitalizzare il mondo naturale).
Insomma, non poteva che essere il rosso il colore di Marianne, l’artista che
crea e distrugge, trasforma e si lascia trasformare, che ama con passione,
scopre e vive con pienezza desideri rimasti -fino all’incontro con Héloise-
inespressi e inconsapevoli.
Il dinamismo del rosso di Marianne è
complementare al verde dell’abito di Héloise. Il verde trasmette un senso di
stabilità, di perseveranza, di costanza, si addice ad un tratto della
personalità di Héloise, così capace di mantenere con fermezza i suoi propositi,
sia il rifiuto del matrimonio o, in seguito, la decisione di sposarsi. Ma il
verde, il colore della natura, è collegato anche al tema della rinascita, del rinnovamento personale e
universale: come il principio vitale si manifesta nel verde del mondo naturale,
così l’inconscio è sempre nuovo e rigenerato. Il verde rappresenta la
possibilità della vita di rinnovarsi, senz’altro fine che la vita stessa, il rinnovamento ciclico del mondo naturale che muore
per rinascere ogni primavera. Héloise muore e rinasce psicologicamente, “muore”
come ragazza ostinata e oppositiva e “rinasce” donna compiuta; accettando la
legge ineludibile del cambiamento trova se stessa, diversamente dalla madre che
insterilisce nelle convenzioni sociali e dalla sorella, suicida perché non ha saputo accogliere una morte psicologica per
rinascere a una vita rinnovata.
I numeri
Prima di separarsi, Héloise chiede a
Marianne di lasciarle in ricordo un suo ritratto. Marianne, con l’aiuto di uno
specchio, disegna il proprio autoritratto sulla pagina 28 del volume delle Metamorfosi
di Ovidio che avevano letto insieme. Anni dopo, quando Marianne si imbatterà in
un dipinto che ritrae Héloise con la sua figlioletta, noterà che l’amica ha fra
le mani quel libro, aperto proprio alla pagina 28; comprende allora che in quel
dipinto e nella vita di Héloise lei c’è ancora, viva e presente.
Il numero 28 è un numero particolare,
magico e mistico: per
addizione teosofica, che consiste nell’addizionare le cifre fra di loro, coincide con l’Uno, l’espressione dell’unità
primordiale: 28 = 2 + 8 = 10 = 1 + 0 =1
Essendo indivisibile, l’Uno indica principalmente
l’unità da cui si originano e fanno ritorno tutti i numeri; il suo potere è
unire e dare origine. Nelle religioni cosmiche, che concepiscono il tempo come un periodico ed
infinito ritorno e la divinità è colta con modalità panteiste, la salvezza è
identificata con il ritorno alla
totalità dell’Uno.
Ancora, il 28 è un numero “perfetto”
cioè un numero i cui dividendi sommati danno il numero stesso (1+2+4+7+14=28),
ma è anche composto di 4 x 7: quattro come le fasi della luna, sette come
giorni che passano tra ogni fase e quella successiva.
Dunque il 28 è connesso alla Luna e al femminile– 28 giorni sono i
giorni del ciclo lunare e del ciclo della fertilità femminile (i personaggi del film
sono tutte donne)- e quindi anche alla Grande Madre, alla natura che
continuamente si rinnova; all’alternarsi delle fasi lunari– la luna
compare, cresce, cala, scompare per poi ricomparire dopo tre notti di buio - è
associata l’idea di un rinnovamento perpetuo, di una rinascita ciclica della
natura e dell’uomo.
La musica
All’idea che nulla muore ma tutto si
trasforma incessantemente, rimanda anche Le
Quattro stagioni di Vivaldi che, insieme a Fugere non possunt di Jean-Baptiste de Laubier e
Arthur Simonini, è uno dei due commenti musicali del film, che non
ha altra colonna sonora se non le onde che si infrangono sulla scogliera, il vento, il
crepitio del fuoco, i carboncini o le pennellate di Marianne sulla tela;
entrambi i brani hanno un peso notevole, emozionale e di significato.
L’Estate di Vivaldi è accennata la prima volta da Marianne al
clavicembalo, nel momento in cui entrambe cominciano ad essere consapevoli del
sentimento che le unirà; poi, nello stupendo finale, sarà superbamente eseguita
in un teatro, da una vera orchestra.
Le Quattro
stagioni mi sembra un’opera
perfettamente in sintonia col messaggio del film, anch’essa si presta a una
lettura simbolico-esoterica: oltre l’apparente quadro iconografico
rappresentato dal succedersi delle stagioni con tutti i suoi simboli
atmosferici, vegetali, animali e umani ad esse connessi, in essa si può
cogliere un significato recondito, meno letterale, che tocca strati emozionali
più profondi e universali; è come se l’ascoltatore diventasse parte integrante
del ciclo della natura che si rinnova, che muore contenendo in sé già il seme
della futura rinascita. Il canto degli uccelli, il sonno, le danza pastorali,
il temporale, la semina, la mietitura, la vendemmia, la caccia, la luce del
sole, lo scontro turbinoso dei venti, alludono simbolicamente al perpetuo
divenire della natura, al ciclo di morte e rinascita della vegetazione in cui
l’uomo, per sottile affinità con la specie vegetale, è perfettamente integrato:
anche l’uomo, morendo, torna allo stato di “spirito”, reintegrandosi nella
matrice universale e ricominciando il ciclo. Dunque la morte non esiste,
esistono piuttosto passaggi a nuove forme di vita, cambiamenti di modalità: la
natura risorge continuamente
L’altro brano musicale è Fugere non possunt di Jean-Baptiste de Laubier e
Arthur Simonini, con testo latino scritto dalla stessa regista Céline Sciamma,
cantato da donne – “streghe” inoffensive - in
un sabba con tanto di falò notturno. All’ascolto mi sembra che il testo dica: “Fugere
non possunt, nos resurgemus”: “Non possono fuggire (ma anche sfuggire, sottrarsi),
noi risorgeremo (ci risolleveremo, o ci rialzeremo)”. Cerco interpretare questo
brano intenso e suggestivo: innanzitutto mi colpisce l’opposizione essi/noi e i
due verbi fugere / resurgere. Il testo si riferisce a qualcuno che non può
fuggire: letteralmente, dall’isola, con le sue coste a strapiombo sul mare,
lontana dalla terraferma; ma non può neppure sfuggire - nel senso di sottrarsi-
alla propria condizione. Si riferisce alle donne dell’isola che eseguono il
canto, che non possono evitare un’esistenza segnata dalla mancanza di libertà:
di autodeterminarsi, di scegliersi l’uomo (Héloise), di firmare le proprie
creazioni artistiche con il proprio nome e non con quello del padre (Marianne),
di evitare gravidanze indesiderate (Sophie). Si direbbe che per loro non c’è
scampo: appartengono alla terra, a cui la gravità le tiene avvinte; questa è la
condizione comune. Ma il nos resurgemus ci mette di fronte alla certezza che ci
si può sollevare da quello stato, ascendere, salire a uno stadio superiore, più
consapevole e spirituale: per me il nos è riferito alle due protagoniste che,
come in una trasformazione alchemica, trasmutano interiormente, dal piombo della
greve condizione di donne, all’oro dell’individuazione del Sé autentico.
La scena – un momento-chiave
del film - in cui l’abito di Héloise prende fuoco disvelando l’amore per
Marianne, non casualmente ha per accompagnamento il nos resurgemus: lasciandosi
bruciare dal fuoco dell’amore, Héloise non si sottrae a quel mutamento
interiore che le consentirà di resurgere, “rinascere” a una vita rinnovata.
Il film è il racconto di questa
metamorfosi: al suo primo apparire Héloise è di spalle, col capo coperto, mentre
con rabbia liberatoria corre pericolosamente verso la scogliera; nell’ultima
scena, in un lungo primo piano del suo viso, Héloise ci appare nel fulgore della
sua perfezione, mentre immersa in una luce dorata, nel palco di un teatro quasi
librato in aria, sulle note dell’Estate di Vivaldi, si lascia andare
all’emozione: sorrisi e lacrime d’amore, di superiore consapevolezza e
struggente gratitudine.
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